Api, vespe e formiche sono “parenti”. Si tratta di imenotteri, il cui veleno – contrariamente a quanto in molti sono usi pensare – è in grado di proteggere le loro colonie, gli apicoltori e chi ne fa uso.

L’impiego di veleno a difesa delle proprie colonie

La maggior parte dei veleni di imenotteri mostrano un’ampia attività antimicrobica. In particolare, i veleni degli imenotteri sociali (formiche, vespe e api) sono una fonte consistente di secrezioni antimicrobiche. Nelle specie solitarie e parassite, il veleno viene utilizzato per immobilizzare o uccidere le prede e per conservarle come cibo immagazzinato per la loro covata immatura. Nelle specie sociali, invece, il veleno è spesso depositato sia sulla cuticola che sulla superficie del nido. Ciò indica che l’uso del veleno negli imenotteri non è limitato alla caccia o alla
dissuasione dei predatori, ma è anche attivamente impiegato come agente protettivo (…).

Veleno o toccasana?

Discostandoci dalle temute punture di api, vespe e formiche, altri punti di vista trasformano il veleno-nemico in veleno-amico. Anche quando le risposte positive provengono dall’uomo. Gli effetti benefici del veleno d’api sull’uomo, di cui si narra beneficiarono anche Carlo Magno e Ivan Il Terribile, derivano in gran parte dall’osservazione empirica di come tra gli apicoltori l’incidenza di patologie reumatiche fosse ridotta rispetto al resto della popolazione. D’altra parte l’uso medicinale del veleno d’api risale all’antico Egitto ed è riportato nella storia dell’Europa e dell’Asia. Anche Ippocrate usava il veleno d’api per trattare i dolori articolari e l’artrite (…).

Qui di seguito puoi leggere l’articolo integrale, pubblicato sulla rivista Apinsieme  di aprile e scritto dal nostro presidente, Aristide Colonna, assieme all’agronoma Beti Piotto.

Quando il veleno è un toccasana