paracelsoSaranno passati tanti anni ma la realtà è poco cambiata. Forse il “veleno” della vicenda filmica sarà cambiato ma di veleni, in generale, se ne mangiano tanti. Nel 1500, un alchimista svizzero girava l’Europa, raccogliendo i segreti più reconditi dell’alchimia e medicina; dopo essersi laureato a Ferrara in medicina, cercava di instillare il dubbio nelle menti “assolutistiche” dell’epoca, con il motto “ Tutto è veleno e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa che il veleno non sortisca effetto”. Era Paracelso. Bene, allora cerchiamo di sfruttarne le buone doti.

E di veleno l’apicoltore ne ha “mangiato” nella sua vita e senza pretendere che le sue amate api perdano il pungiglione temibile. Sicuramente qualcuno avrà vissuto il timore dello shock anafilattico e in qualche caso si è trovato a viverlo. Come si dice, sorge spontanea una domanda: ”Ma che cosa avrà questo veleno?”

Le nuove tecniche analitiche (1), fino allo scorso anno, hanno permesso di identificare cinquanta molecole, tra le quali ben nove erano sconosciute. Che il veleno potesse agire come un protettore cardiaco, grazie all’apamina, la melittina e l’enzima, tanto demonizzato, fosfolipasi A2, è una recente scoperta, rimbalzata agli onori della ricerca con l’ennesimo lavoro di equipe cinese. Sembrerebbe che agiscano sinergicamente nel controllo della permeabilità degli ioni calcio e magnesio a livello muscolare (2). Sempre nella ricerca menzionata sono esposte le caratteristiche positive della propoli e della gelatina reale che, insieme al veleno, sono gli ingredienti di una preparazione, che in origine è riconducibile alle terapie della medicina tradizionale cinese (MTC), chiamata “Bao-Yuan-Ling” che è studiata per le doti anti-ipertensive e di rimodellamento delle cellule muscolari cardiache. Alla fine del report scientifico è interessante leggere che l’impiego dei prodotti naturali, presi singolarmente, potrebbero condurre agli stessi risultati di quelli formulati. Come a dire: “Mangiate un po’ di veleno” , come direbbe Totò.

In una ricerca coreana di quest’anno (3) la melittina, che corrisponde al 50% del peso secco del veleno d’ape, è stata studiata per le capacità antinfiammatorie; sembra un assurdo, date le conseguenze che le punture procurano, ma è una molecola su cui si stanno focalizzando molti ricercatori perché svolge un controllo sulla crescita irregolare delle cellulare (come avviene in tumori e cirrosi). In questo lavoro si è documentato come la melittina agisca sul processo infiammatorio procurato da un batterio infido, il Prophyromonas Gingivalis, che può avviare oltre ai processi di parodontosi (degenerazione del tessuto che sostiene i denti) quello tumorale dell’esofago, come indicato dai ricercatori della University School of Dentistry of Louisville e dalla Università di Osaka (4). I batteri, come altri che formano la nota “placca dentale” costruiscono un biofilm in cui vivono e si moltiplicano. Essi sono così protetti da questo “ombrello impermeabile” agli antibiotici, e possono produrre, tra le varie sostanze, dei Lipopolisaccaridi; queste sostanza,formate da una parte lipidica e da una costituita da alcuni zuccheri, formano le pareti cellulari dei batteri. Tra queste sostanze batteriche, alcune da un lato danneggiano i cheratinociti della bocca (cioè la prima linea di cellule della difesa orale) e dall’altro stimolano oltre misura le nostre difese immunologiche (citochine), s’induce quindi un’infiammazione intensa che può sfociare in patologie come quelle su riportate. La melittina sembra poter penetrare nel biofilm e agire da inattivatore della produzione della Lipoproteina batterica, proteggendo i cheratinociti orali, che di conseguenza possono agire al meglio.

Anche nella ricerca (5) delle attività enzimatiche del veleno d’api e come questo agisca sui sistemi biologici si è nel campo delle interazioni complesse, come, rimanendo nei limiti dei prodotti apistici nel miele e nella propoli. Tante molecole in un prodotto. veleno“Puntigliosamente” i ricercatori osservano che il massimo delle caratteristiche bioattive del veleno si ha quando sono ingenti, in natura, le quantità e qualità di polline (da tenere a mente per chi traffica con le api).

Gli enzimi, molecole che velocizzano le reazioni chimiche, presenti nel veleno sono importanti, inducendo effetti diversi anche tra le Api, intese come famiglia di Insetti (tutte le Apidae). Alla Fosfolipasi A2, che già sopra annunciava le sue doti, si aggiungono la Fosfolipasi B (la più pericolosa, potendo rompere le membrane delle cellule ematiche), la ialuronidasi che spacca l’acido ialuronico, una sostanza che dà consistenza e forma alla pelle. Sempre tra gli enzimi, troviamo la Fosfatasi acida che stimola il rilascio di istamina da particolari globuli bianchi del sangue (i basofili), e l’alfa-glucosidasi, che troviamo anche nel miele, il quale agisce sul maltosio, uno zucchero costituito da due molecole di glucosio, liberandole. La lista di altri enzimi (e solo di questi) è lunga: esterasi, proteasi, peptidasi e inibitori di alcune proteasi. Questo è un nuovo e complesso insieme di enzimi, con aspetti ancora da comprendere come impieghi per l’essere umano.

Un lavoro scientifico del 2016 (6) confrontava la capacità di alcuni veleni naturali (di scorpione, di crotalo e ape) nel rallentare lo sviluppo di neoformazioni cellulari di vari tessuti. Il veleno d’ape (e quello di vespa pure con la mastoparane, una piccola proteina) esercita l’inibizione di cellule tumorali, determinandone la morte programmata (apoptosi), attraverso la formazione di radicali liberi e aumento endocellulare di ioni calcio. Ciò era stato documentato dieci anni prima in altre ricerche (7), sempre in vitro purtroppo, ed era stato ricondotto alla Fosfolipasi A2 e alla sinergia con un’altra molecola (la fosfatidi inositolo difosfato), che agisce aggredendo i tessuti tumorali, rompendone le cellule, e immuno-stimolava i monociti, globuli bianchi con finalità immunologiche. Ritornando al lavoro del 2016, è rimarchevole che la maggiore azione (in vitro) analizzata è quella della melittina; essa ha spiccate doti di blocco di certe linee cellulari tumorali e si riporta che in vivo (sulle cavie) essa riduce la mobilità cellulare e la loro migrazione, limitando la propagazione nel corpo e negli organi sani.

Oltre alla melittina, anche l’apamina, una piccola proteina del veleno d’ape, ha svelato l’azione di blocco della vascolarizzazione nei tessuti muscolari lisci, esordio di alcune patologie tumorali, agendo su un particolare enzima cellulare (6).

Più recentemente (Marzo 2018), un gruppo di ricercatori rumeni (8) ha valutato alcune molecole del veleno d’ape, aggiornando le azioni scoperte negli ultimi dieci anni, e le interazioni tra di esse (es.: la melittina sinergizza l’attività della fosfolipasi A2, che invece è depressa dall’adolapina, altra molecola contenuta nel veleno). Ciò che colpisce leggendo questo interessante e schematico lavoro è quanto avanti siano le ricerche sul veleno d’api (nello stesso articolo della rivista “Molecules” si riportano pure quelle sul veleno di serpente). Esse sono progredite sia in vitro quanto in vivo, giacché esso potenzia anche l’effetto di farmaci chemioterapici, perfino in colture cellulari resistenti alla cisplatino, un farmaco antitumorale. La ricerca riporta che l’azione congiunta del veleno e della crisina (un polifenolo presente nel miele e nella propoli) riesce a ridurre la crescita di uno stipite di cellule tumorali dell’ovario umano, per accumulo dei radicali liberi cellulari, inibizione del Bcl2 (geni che sovraintendono all’apoptosi) e ad attivazione mitocondriale della caspasi (enzimi proteolitici presenti anche in quegli organuli). In tutte queste ricerche è di massima importanza la concentrazione del veleno.

La nota vicenda spagnola del 2015 di uno shock anafilattico con esito mortale, avvenuto per una catena di sciagurati eventi (ritardi nelle prime cure e nell’ospedalizzazione, complicazioni determinate da ipotensione e coma, divenuto poi irreversibile dopo settimane) a seguito di apitoxoterapia, pone l’attenzione sui rischi del veleno d’ape. Questa rivista nella rubrica “La Lente” dello scorso mese, ha posto all’attenzione degli apicoltori (e in generale di chi opera con le api) la necessità di adottare tutte le misure di prevenzione dello shock anafilattico (auto-iniettore di adrenalina e conoscenza delle pratiche dei primi interventi da eseguire con soggetti colpiti dalla reazione allergica). La terapia con veleno d’ape è in Italia permessa solo ai medici. Come Associazione, considerando i rischi dello shock anafilattico, sosteniamo l’approfondimento della conoscenza di questa grave reazione allergica e delle pratiche di primo soccorso, nei corsi di formazione e di aggiornamento di apicoltura. L’osservazione che, anche dopo svariate punture durante i lavori in apiario, possa scatenarsi lo shock anafilattico, suggerisce la fornitura da parte del Servizio Nazionale di autoiniettori (detti “penne, precaricate con adrenalina, che “sparano” volumi adeguati di farmaco intramuscolo), come nei soggetti allergici.

Eccoci quindi alla fine della puntata, ma la storia scientifica del veleno è solo all’inizio. Osserviamo la prudenza adottata dai Ricercatori nel suo sdoganamento terapeutico, incluso l’impiego nella sindrome di Lyme, ricordandoci che, riducendo il “carico” di veleni che siamo costretti a “mangiare occultamente ” ogni santo giorno, miglioriamo la Salute nostra e della Natura che ci ospita.

a cura del dr. Pietro Paolo Milella biologo, naturopata, consulente di apiterapia

BIBLIOGRAFIA:

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