Una medicina legata alla gestazione e al parto. Nel medioevo il parto era uno dei momenti più pericolosi della vita della donna e del nascituro. La medicina del tempo non era abbastanza efficiente per cui non sorprende che si avvalesse di una combinazione di rituali, preghiere, amuleti, sostanze ritenute beneauguranti e raccomandazioni bizzarre…
Leggi l’articolo completo, scritto da Beti Piotto e dal nostro presidente, Aristide Colonna, per la rivista Apinsieme.
Influente per secoli, la Scuola Medica Salernitana (XII secolo) utilizzava il miele per rimediare ai problemi del parto, anche per ricondurre l’utero al suo posto. Per le lesioni dell’utero, miele e tisane si mischiavano e inserivano in esso, come un pessario (anello di gomma, di plastica o di silicone, che veniva inserito nella vagina), allo scopo di sostenerlo in presenza di un prolasso utero-vaginale.
Erbe aromatiche polverizzate (crescione, bacche di alloro, incenso e cannella) mescolate con miele venivano inserite nella vagina.
Il miele è stato utilizzato nel corso della storia per scopi medicinali, soprattutto per le sue proprietà antisettiche naturali. Nel testo The Sickness of Women (Le malattie femminili) risalente al XV secolo, il miele viene spesso indicato:
- come ingrediente nelle supposte e per ungere l’utero prima dell’ingresso delle supposte;
- in ricette per curare i flussi mestruali troppo abbondanti;
- per rimediare al prolasso uterino;
- per aiutare a espellere umori cattivi;
- per proteggere dalle infiammazioni.
Talvolta mescolato con mirra, ricino e Calamintha (una specie di mentuccia), il miele era usato come coadiuvante nel parto, compresa l’espulsione di un feto morto. È stato inoltre utilizzato nelle cure delle ulcere uterine.
Il medico inglese Pechey, che nel 1696 pubblicò un trattato sulla salute delle donne, in particolare le gestanti, raccomandava un bagno quotidiano composto da miele, rose e cerfoglio (Anthriscus cerefolium, erba simile al prezzemolo) negli otto giorni successivi al parto.
Successivamente indicava un regime di cerotti con acqua e vino da applicare sulla pancia. Il vino doveva riscaldare il corpo e agire come astringente.
In ogni caso, la rimozione degli umori associati alla gravidanza e al parto era la principale preoccupazione dei medici: era ciò che si considerava il ritorno alla normalità. Per favorire il processo, i medici del tempo prescrivevano riposo per un mese dopo il parto, con la speranza che durante questo periodo si eliminassero i resti di tessuti legati alla gravidanza. In queste prescrizioni di lunga permanenza al letto, oggi si percepisce una certa volontà maschile di ostacolare la capacità della donna di tornare velocemente alle attività consuete.
A tutte queste pratiche, si inserivano riti che partivano dai monasteri. In particolare in Inghilterra, prima della rottura con la chiesa di Roma, i testi medievali menzionano che i monaci preparavano e prestavano alle donne nastri portafortuna per proteggerle durante la gravidanza e il parto. I lunghi nastri, fatti in pergamena, carta o seta, erano una combinazione di libro di preghiere e amuleto magico.
Dopo lo scisma anglicano e a conseguenza della soppressione dei monasteri (dal 1536 in poi), molti di questi nastri rituali andarono distrutti per cui oggi se ne contano poco più di una decina conservati tra Inghilterra e Francia. Infatti, questa usanza sembra circoscritta a questi due paesi. Le autorità religiose protestanti proibirono l’uso dei nastri “protettori”.
Uno di questi nastri-talismano (il Manoscritto 632 della Wellcome Trust Collection) è stato di recente sottoposto a indagini.
Ha una forma insolitamente lunga e sottile (10 cm x 332 cm), suggerendo che doveva essere avvolto intorno al corpo.
Le scritte sul nastro, in inglese antico, promettevano: “se una donna in travaglio cinge questa cinta intorno al suo grembo, partorirà in modo sicuro, senza pericolo”. Oltre a immagini di santi protettori del parto e scritte propiziatrici, nei nastri si trovano disegni di croci, tau e una serie di simboli non sempre comprensibili.
Nella pratica, i nastri potrebbero aver sostenuto il peso extra della gravidanza ma si ritiene che l’uso fosse soprattutto rituale.
Dalla recente analisi bio-molecolare del nastro catalogato come Manoscritto 632 (Fiddyment et al., 2021), gli scienziati hanno scoperto che era indossato ancora quando la donna era entrata in travaglio e che l’oggetto in questione è in grado di “raccontare” la propria storia.
C’erano tracce di miele, latte, uova, cereali e legumi e una quantità consistente di proteine umane, molte di queste specifiche del liquido cervico-vaginale, a indicare che il nastro era presente durante il travaglio stesso. Le numerose sostanze di origine non umane, (miele, latte e alcune specie vegetali), che sono presenti nei testi medievali riguardanti i trattamenti relativi alla gravidanza e al parto, rafforzano l’idea dell’uso attivo di questi particolari nastri in queste circostanze.
Inoltre, la presenza di miele, latte e alcune specie vegetali nel Manoscritto 632 conferma che le prescrizioni che appaiono nei testi medievali a proposito dell’uso terapeutico di certi prodotti, venivano effettivamente applicate nelle terapie e rituali del parto medievale.
Il miele, prodotto dell’alveare per eccellenza, è quindi un elemento centrale della medicina medievale sia per le sue proprietà sia per la forte simbologia.