propoli apeNel corso del tempo svariate sono state le teorie sull’origine della propoli (Cizmarik, et al.: Analysis and considerations on theories concerning production of propolis. 1978) e ancora oggi il processo non è completamente chiaro, ma è indubbio come la propoli sia quella sostanza resinosa di origine vegetale che le api raccolgono dalle gemme o dalla corteccia di diverse specie botaniche, rielaborano aggiungendo cera, polline e secrezioni salivari e utilizzano come materiale da costruzione e a difesa dell’alveare, una difesa sia meccanica sia biologica.
In linea di massima nell’areale mediterraneo le principali fonti di propoli sono rappresentate da alberi di Pioppo, Betulla, Quercia, Nocciolo, Pino e Salice e mediamente è costituita per un 50-55% da resine, 30-40% da cere e acidi grassi, 10% da olii essenziali, 5% da polline e infine per un altro 5% da composti organici e minerali.

La comprensione dell’origine botanica della propoli non ha solo un interesse accademico; infatti conoscere la composizione chimica dell’essudato vegetale può rappresentare il punto di partenza per la valutazione compositiva del campione ma soprattutto può essere di aiuto all’apicoltore nell’individuazione della postazione vegetale ideale, tenendo ben a mente come la salute dell’alveare passi anche attraverso la raccolta della propoli e come in sua mancanza le api soffrano e ripieghino su materie molto meno “naturali” come vernici, asfalto e olii minerali.
La frazione attiva è costituita per lo più da una classe di elementi identificati col termine di bioflavonoidi, un’eterogenea famiglia di composti polifenolici, metaboliti secondari delle piante, dalle molteplici funzioni e di cui la Galangina è il flavonoide di riferimento.

Per chi ha voglia di approfondire l’argomento ricordo l’articolo uscito su l’Apis riguardante lo studio che Aspromiele sta portando avanti da alcuni anni sulla caratterizzazione della propoli piemontese (l’Apis N.6 Agosto/Settembre 2015).
La variabilità in termini di colore, aroma e composizione è infinitamente elevata tanto da rendere impossibile standardizzare la matrice propoli ma d’altra parte, come afferma la D.ssa Bankova dell’Università di Sofia, “La diversità è Ricchezza” (The First International Conference On Apiceutical Research, Glasgow 17-19 Giugno 2016) e la ricerca propoli2non è quindi finalizzata solo ed esclusivamente alla standardizzazione ma all’individuazione di tutti i componenti e come questi componenti interagiscano con l’organismo; è infatti la ricerca che ha permesso, ad esempio, di apprendere che per l’attività antimicrobica il punto fondamentale è la cooperazione fra i componenti mentre per quella antinfiammatoria è il ruolo del singolo.

Recentemente mi è capitato di leggere alcuni interessanti studi sull’impiego della propoli nel trattamento della gastrite da Helicobacter pylori, una patologia che attualmente coinvolge circa un quarto della popolazione mondiale e per la quale le terapie convenzionali stanno divenendo meno efficaci. L’Helicobacter pylori è un batterio gram negativo che sopravvive, grazie alla presenza di una pellicola protettiva, all’ambiente acido dello stomaco e aderendo alla mucosa gastrica la indebolisce innescando un processo infiammatorio che può sfociare in gastrite, ulcera ma anche linfoma e carcinoma gastrico. Attualmente l’infezione viene trattata mediante l’assunzione di almeno due classi di antibiotici e un inibitore di pompa protonica che migliori l’efficacia degli antibiotici stessi; dal canto suo il batterio sta sviluppando resistenza ai medicinali e le soluzioni adottate, fino ad adesso, sono state quelle di aumentarne i tempi di assunzione e ove possibile sostituire l’antibiotico divenuto resistente con un altro.
La terapia convenzionale si sta rilevando efficace nell’80-85% dei casi lasciando scoperto un preoccupante 20% (Biagi et al, Università degli studi di Siena 2011). Da qui nasce l’interesse verso nuovi approcci, più naturali, verso la propoli che possiede proprietà antimicrobiche ad ampio spettro, antinfiammatorie e antiossidanti.
In un primo studio condotto dall’Università degli studi di Siena, U.O. Biologia Farmaceutica, diversi campioni di propoli secchi e in soluzione si sono rivelati efficaci alle concentrazioni medie di 1000 mg/l sia nei confronti di ceppi cagA e vacA (fattori di virulenza) positivi, sia di ceppi resistenti alla claritromicina o al metronidazolo.
I campioni più ricchi in flavonoidi e polifenoli hanno dimostrato una maggiore attività antimicrobica sottolineando l’importanza, in questo specifico caso, dell’integrità compositiva del fitocomplesso. All’azione antimicrobica si aggiungono quella antinfiammatoria, con riduzione del rilascio di citochine proinfiammatorie, e quella antiossidante, con riduzione nella produzione di radicali dell’ossigeno responsabili dei danni a livello di mucosa: benefici entrambi totalmente assenti nella terapia antibiotica convenzionale (Biagi et al. 2015).

In un’altra ricerca soluzioni etanoliche di propoli al 30% sono state utilizzate invece per valutare l’attività anti-ureasica (Effect of propolis in gastric disorders: inhibition
studies on the growth of Helicobacter pylori and production of its urease.- Baltas , Karaoglu , Tarakci, Kolayli).
L’Helicobacter pylori ha una caratteristica intrinseca che gli permette di attecchire nell’ambiente gastrico, quella di scindere l’urea, una proteina presente nella carne.
Tutti i campioni di propoli testati si sono rivelati efficaci mostrando una significativa azione inibitoria nei confronti dell’enzima, con concentrazioni di inibizione che vanno
da 0.260 al 1.525 mg/ml. Anche in questo caso il grado di inibizione è legato al contenuto fenolico dell’estratto.
Alla luce di queste considerazioni si può sperare che la propoli possa divenire una valida alternativa nel trattamento delle patologie gastriche sostenute dall’ Helicobacter p. come
cura e, perché no, anche come prevenzione. In questo ambito la tintura alcolica di propoli al 30% può essere assunta direttamente nella misura di 30 gocce tre volte al giorno dopo i pasti. Qualora risultasse sgradevole può essere diluita in un cucchiaino
di miele e a questo proposito apro una piccola parentesi ricordando che a livello gastrico il miele esplica un effetto protettivo in virtù del suo maggior pH.
Un caso speciale di impiego in presenza di Helicobacter pylori è dato dal miele di Manuka, un miele originario della Nuova Zelanda, prodotto dalle api a partire dal fiorellino bianco del Leptospermum Scoparium, un arbusto che fiorisce in primavera solo per qualche giorno ma che ricopre vallate intere. Il miele di Manuka possiede una marcata azione antibatterica legata all’elevata concentrazione di metilgliossale derivante dalla conversione naturale del diidrossiacetone presente in alta concentrazione nei fiori di Manuka (Thomas Henle Università di Dresda, Molecular Nutrition and Food Research, 2006).
Per chi invece ha difficoltà ad assumere la soluzione anche in questo modo, il consiglio è quello, sicuri della qualità, di assumerla grezza polverizzandola bene e masticandola per qualche minuto per poi deglutirla con acqua.

a cura della dr.ssa Enrica Baldazzi, farmacista. Articolo pubblicato sulla rivista l’Apis di febbraio 2017