Una vita senza glifosato è possibile.

Sin dalla sua introduzione sul mercato nel 1974, il diserbante glifosato (N-(fosfonometil)glicina, C3H8NO5P) è il più utilizzato al mondo in quanto efficace e relativamente poco costoso. Spesso lo si presenta come non letale per i vertebrati, tuttavia, e per quanto riguarda le api, un numero crescente di studi ha riportato effetti fisiologici e comportamentali dannosi, anche se non letali. Si tenga presente che i modi con cui il glifosato interagisce con 20.000 specie di impollinatori rimangono poco conosciuti. Intanto, però, la International Agency for Research on Cancer (parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha inserito il glifosato nella categoria dei probabili cancerogeni.

I pesticidi alterano la biodiversità dei microrganismi presenti nel suolo e nelle piante, riducendo nel tempo la loro capacità di metabolizzare i fitofarmaci stessi. Altrettanto limitata risulta la capacità detossificante degli ecosistemi, con conseguenti fenomeni di accumulo dovuti all’uso sistematico e continuativo dei prodotti con capacità di persistenza. Inquietante è la costatazione che più a lungo e più diffusamente si applicano i fitofarmaci, più cresce la loro possibilità di perdurare nell’ambiente (Concari e Oldani, 2022).

Il glifosato non è però indispensabile: un passo importante verso un agricoltura rispettosa dell’ambiente risulta dalle ricerche condotte da studiosi italiani, coordinati dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che hanno messo a punto una tecnica di coltivazione che incorpora al terreno la veccia (Vicia sativa) e non impiega glifosato. Semplificando: la veccia, comportandosi da ottima leguminosa, impedisce lo sviluppo di infestanti e fornisce azoto alla coltura. I risultati produttivi ed economici sono paragonabili, se non superiori, alla tradizionale tecnica che usa diserbanti (ANSA 13 settembre 2022).

Per chiudere ricordiamo che lo scorso giugno, per la prima volta in Europa, un’azienda agricola tedesca è stata condannata a risarcire una coppia di apicoltori per averne contaminato il miele con il glifosato utilizzato nei propri campi (Il fatto alimentare, agosto 2022).

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